Libia, nuovi martiri e vecchi carnefici
Pubblicato il 26 febbraio 2010 in: Focus,
Nel suo delirante discorso televisivo Gheddafi ha annunciato di voler morire da martire, piuttosto che lasciare il potere. I martiri però sono altri: sono quei cittadini libici che nel nome della libertà continuano a morire per le strade di Tripoli giorno dopo giorno, sotto i colpi di mercenari assoldati dal Raìs e delle bombe di piloti ancora fedeli al dittatore. Chiuso nel bunker, con le sue parole il colonnello in pratica ha ufficializzato l’inizio di una guerra civile. In tutto questo, la comunità internazionale gioca un ruolo fondamentale.Il primo compito è quello di non abbassare il livello di attenzione su quanto sta accadendo, un rischio divenuto ancora più reale adesso che quasi più nessun giornalista straniero è rimasto nel territorio per fornire informazioni, che ormai iniziano ad arrivare con sempre maggiori difficoltà, e sempre più soltanto attraverso fonti di regime.Barack Obama continua quotidianamente a condannare con fermezza la repressione in atto, e questo è importante non soltanto nell’immediato, ma anche per quello che verrà. Non a caso sono in molti a mettere in guardia sul come potrebbe evolversi il dopo-Gheddafi, e sarà di certo un problema da affrontare. Ma non si può parlare del dopo-Gheddafi solo in termini di islamizzazione della Libia, come ad esempio si è affrettato a fare Berlusconi, impegnato in questi giorni drammatici, insieme al “suo” ministro Frattini, nel tentativo vergognoso e malcelato di non schierarsi apertamente contro lo sterminio in atto. Non a caso, Gheddafi sembra aver preso subito la palla al balzo, parlando di rivoltosi stimolati dalla droga di Bin Laden.Di tutto quanto sta accadendo nella zona del Maghreb bisogna infatti cogliere non soltanto l’aspetto religioso, o meglio fondamentalista, che potrebbe materializzarsi (una cellula di Al Quaeda sembra già essersi posizionata nella zona orientale della Libia), quanto piuttosto la forza rivoluzionaria di una generazione, di una nuova generazione, più informata e dunque più consapevole di quella che l’ha preceduta, figlia della comunicazione in rete e desiderosa di modificare l’ordine degli eventi, rimasti immutabili per troppo tempo. Lo spiega bene Taheena al Sharifi, una donna avvocato che fa parte del “Comitato dei 15”, formatosi in queste ore a Bengasi dopo la liberazione della città dai militari e dai cecchini. Intervistata da Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera tra i pochi ancora in Libia, Taheena ci ricorda che i governi europei insistono troppo sulla questione islamica, dimenticando che loro sono semplicemente alla ricerca di libertà e democrazia, e di una strada laica che porti alla modernizzazione del Paese. Sono molti i giovani scesi nelle piazze africane in questo 2011, in quelle tunisine e in quelle algerine, in quelle egiziane e in quelle libiche, e presto potrebbe essere anche la volta del Marocco; e molti sono pronti a farlo anche in quelle terre dell’Africa nera in cui troppi anni di dittature, troppo spesso supportate dal dollaro americano o dall’euro europeo, hanno tenuto i rispettivi popoli ad un livello insopportabile di povertà.Dopo le Twin Towers di New York, che lo inaugurarono nel peggior modo possibile, questo ventunesimo secolo sembra ora aver iniziato un percorso diverso, fatto di incertezze ma anche di speranze. Quanto sta accadendo in Africa, per molti versi, può essere storicamente accostato a quanto avvenuto in Europa, e più in generale in occidente, con la caduta del muro di Berlino.Ma in questo processo di transizione così delicato l’occidente deve fare la sua parte, e nella maniera migliore, cominciando dal distinguere, senza esitazioni, i giovani martiri dai vecchi carnefici. E agendo di conseguenza.