La Chiesa dia un tetto agli immigrati


Pubblicato il 29 aprile 2011 in: Attualita, Il Corsivo,


Renzo Trappolini

- Due circostanze, una considerazione.

La prima: venticinquemila persone, ma aumentano di giorno in notte, lasciano l’Africa per l’Europa. Come duemila anni fa, rocambolescamente su un asino, il bambino di nome Gesù con i genitori Giuseppe, falegname e Maria, casalinga, da Betlemme all’ Egitto. Esuli senza una casa che li aspetti.

Il bambino si abituerà lì, in Africa, a quanto gli accadrà da grande: non avere una pietra su cui posare il capo. Al pari dei nordafricani di oggi, ai quali, bene che vada, il tetto che li ospiterà sarà il telo di tende allestite in fretta.

Seconda circostanza: il patrimonio immobiliare italiano per oltre il 22% appartiene direttamente o indirettamente alla Chiesa, la comunità dei fedeli di quel Gesù che, da adulto, rivoluzionò le regole civili ordinando di dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati e, naturalmente, alloggio ai senza casa.

Per questo, in duemila anni, tanti seguaci hanno donato alla Chiesa palazzi e terreni per dare asilo e vitto, cure ai più derelitti e scuola ai giovani, oltre che per ospitare in seminari e conventi quanti si disponevano ad abbandonare, per Gesù, il padre e la madre.

Oggi, si calcola che il numero di questi più devoti sia diminuito del 35% e molte di quelle case e complessi risultano o inutilizzati o addirittura un onere pesante per la manutenzione e, se cambiano destinazione, l’attività commerciale alberghiera, turistica e simili, non porta sempre i bilanci in pareggio, nonostante i regimi fiscali di tutto favore.

Intanto, lo stato e gli enti locali si trovano ad affrontare emergenze alloggiative di difficile quanto non immediata e soddisfacente soluzione. Specie in occasione di eventi straordinari come i terremoti ad esempio o le guerre e la fame che sbarcano a Lampedusa in pochi giorni quelle venticinquemila persone di colore.

La considerazione: perché lo stato, ma anche comuni e province, non potrebbero per questi casi disporre degli immobili sottoutilizzati dalla Chiesa? Naturalmente, in base a convenzioni specifiche le quali – confermata la proprietà (perché non si può mai escludere un nuovo ministro Siccardi che, per quadrare il bilancio dello stato laico, si interessa ai beni religiosi) – gliene diano la disponibilità contro un canone che assicuri la manutenzione da affidare, magari, a organizzazioni del volontariato.

Si agevolerebbe, così, l’obbligo all’ospitalità delle pubbliche amministrazioni, si consentirebbe alla Chiesa di far prevalere la sua vocazione alla assistenza e alla carità, si potrebbero creare nuovi posti di lavoro con il coinvolgimento di organizzazioni senza scopo di lucro.

Molto, in verità, viene già fatto e un piano generale non può prescindere da accordi nazionali, ma, a livello locale, canoniche, ex conventi e simili pressoché disabitati ci sono.

La provincia, i comuni potrebbero parlarne con i vescovi del territorio, Fumagalli a Viterbo, Rossi a Civita Castellana, Marrucci a Tarquinia e con l’amministratore apostolico Marra per Bolsena. Chissà cosa risponderebbero?

Renzo Trappolini

 





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