Italia e Germania: statisti di ieri e imbarazzi di oggi
Pubblicato il 26 febbraio 2010 in: Il Pastone,
«Cadere non è pericoloso né disonorevole – ha detto Adenauer -. Ma non rialzarsi è tutte e due le cose». Italia e Germania, teatro in questi giorni della visita ufficiale del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riportano alla mente un dualismo di leader determinati e coriacei. Esponenti di una politica coraggiosa e dignitosa, che doveva confrontarsi con tornanti della storia decisivi. Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi non hanno solo scritto pagine importanti di vicende dei rispettivi Paesi, ma sono stati accomunati da un humus unitario, proprio di una categoria di statisti che al primo posto metteva il bene comune e il senso di appartenenza continentale. Quella coppia di leader fu colta da una vera e propria forza centrifuga in chiave europeista.Primo cancelliere della Repubblica Federale di Germania, Adenauer a soli 20 anni era già sindaco di Colonia. Dal ’45 al ’49 fu uno dei più rilevanti artefici dell’unificazione dei diversi gruppi conservatori e cristiano-democratici che gravitavano nella Germania occidentale. Da quegli sforzi nacque la Cdu (Unione cristiano democratica), il più grande partito di centrodestra tedesco. All’interno del quale, da presidente, spinse per far prevalere il concetto di individuo sulle ideologie, che definiva “visioni materialistiche”, agli antipodi del concetto di dignità della singola persona. In politica interna intese rafforzare l’istituzione democratica sia rilanciando l’economia di un Paese, nei fatti, distrutto dalla guerra, sia disegnando un modello di welfare basato su un capitalismo che fosse armonizzato proprio dalle esigenze sociali. In politica estera perseguì la riconciliazione con la Francia e il compimento del percorso democratico in chiave europeista.Assieme ad Adenauer, al francese Schuman e all’italiano Spinelli, un altro italiano è considerato tra i padri nobili dell’Unione Europea. Quel De Gasperi cronologicamente omologo del cancelliere. A capo del primo governo dell’Italia repubblicana, in occasione del quale guidò un governo di unità nazionale, fu protagonista della celebre missione negli Usa per ottenere sostegni finanziari a un’Italia in ginocchio. Nel ’48, pur avendo ottenuto il 48% per la Dc alle elezioni e quindi potendo governare da solo, preferì coinvolgere socialdemocratici, liberali e repubblicani. Riuscendo nell’impresa di affrontare con dignità e responsabilità anni difficilissimi, nei quali la ricostruzione fu portata avanti con sacrifici e determinazione.Ieri, dunque, un doppio modello di rigore e di condotta politica. Oggi la coppia “estranea” Merkel-Berlusconi. Con la prima, (fortemente imbarazzata al pari degli altri leader europei dalla condotta del secondo), che tenta di uscire dalla crisi con sforzi programmatici, con interventi solidi, con vertici che inglobano Sarkozy e Cameron. Mentre il Cavaliere deve occuparsi dei suoi processi, è indaffarato con il pallottoliere per gestire i “disponibili”, con noie giudiziarie anche per i suoi compagni di partito, ultimo in ordine di tempo il deputato Berruti, condannato a due anni e dieci mesi di reclusione per riciclaggio nel processo milanese d’appello sui presunti fondi neri Mediaset. Ecco il quadro che si staglia oggi nel panorama dei rapporti italo-tedeschi.
Con il vantaggio di poter avere salva la rappresentanza italiana solo grazie alla figura alta incarnata dal capo dello Stato, che Barack Obama in occasione del G8 in Abruzzo del 2009 definì un vero leader morale che rappresenta al meglio il Paese, ammirato «da tutto il popolo italiano, non solo per la sua carriera politica, ma anche per la sua integrità e gentilezza». Due riferimenti in verità non del tutto casuali fatti dall’inquilino della Casa Bianca. Quel punto di riferimento del Paese, anch’egli europeista, spinellianamente, garante dei pilastri democratici, custode di una Carta Costituzionale che in tanti stanno picconando sottotraccia. E per questo, ultimo baluardo dell’immagine italiana in un mondo che ci osserva con molti, anzi troppi, interrogativi.